Si affaccia all'orlo:
sotto, oltre la nebbia,
è il giardino o l'abisso,
più sotto la piazza
con l'orologio grande
il tarlo che lo rode
fino all'attimo di marmo.
A ingannare il tempo
volge l'occhio malfermo
al passato, alla ragazza
che inseguita dalla scimmia
fa i gradini a due a due
con la bocca impudica
piena e vuota.
Testamento
RESTITUIRÒ alla pietra la maldestra
infelice mano destra (io mancino)
e all'orto dove nacqui i piedini
che nostalgici d'utero non crebbero.
Il petto a una coppia di aquiloni,
nido per molte generazioni. Gli occhi,
sopito lo stupore per la vita
e ormai volti all'insù, spettano al cielo
per diritto. Il cuore me lo tengo
e stretto, a scandirmi ogni momento
dell'eterno. Al mare lascio le orecchie
per farne grotte risonanti di luce
e di risacche, verdi litanie,
che ripetano Anania, Anania...
Vincenzo Ananìa (Trani, Italia, 1932). Ex magistrado. Poeta y editor y director de una revista de poesía. Ha publicado algunos libros de poesía. Premio Gatto 1993.